Capire meglio la leucodistrofia metacromatica

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La leucodistrofia metacromatica (MLD, dall’inglese Metachromatic LeukoDystrophy) appartiene alla famiglia delle leucodistrofie lisosomiali. È una malattia genetica rara autosomica recessiva. La sua frequenza è di 1 ogni 45.000 nascite. Può esordire nell'infanzia, nell'adolescenza o nell'età adulta e conduce a gravi disfunzioni neurologiche che colpiscono le funzioni motorie e cognitive, sino alla morte.

Il gene la cui mutazione è responsabile della leucodistrofia metacromatica è il gene ARSA che si trova sul cromosoma 22 (localizzato in 22q13.31). Questo gene codifica l'arilsulfatasi A, un enzima contenuto nel lisosoma delle cellule. Questo enzima è responsabile della degradazione dei solfatidi, un importante componente lipidico della mielina del cervello e dei nervi periferici, ma anche dei neuroni del cervello. Ad oggi, sono state identificate oltre 160 mutazioni del gene ARSA (167 su HGMD).

In alternativa, un numero esiguo  di pazienti è portatore di una mutazione nel gene PSAP della Saposina B, un co-attivatore dell'enzima ARSA.

Esiste una certa correlazione tra il genotipo dei pazienti e l'insorgenza dei sintomi.

•    Quando i pazienti hanno sia un allele "O" sia un allele "R", spesso appartengono al gruppo delle forme giovanili.
•    I pazienti omozigoti per l'allele "O" (che hanno due copie del tipo "O"), che presentano un livello ridotto  di attività enzimatica ARSA, rientrano più spesso nel gruppo di pazienti con una forma infantile tardiva.
•    Coloro i quali hanno due alleli "R" si trovano nel gruppo delle forme adulte.

Quindi, quanto più a lungo l'enzima rimane "attivo", tanto più tardi si manifesta la malattia.

La leucodistrofia metacromatica: dal gene ai sintomi. A seconda dei geni (alleli "O" e "R"),
l'enzima ARSA è più o meno attivo. Tanto minore sarà l'attività  dell'enzima ("O" + "O"),
quanto maggiore sarà l'accumulo di solfatidi. Meno l'enzima è attivo, prima appaiono i sintomi e più velocemente progrediscono.

Sintomi della malattia

Forme infantili tardive e giovanili precoci
Leucodistrofie metacromatiche infantili tardive e giovanili precoci compaiono prima dei 6 anni di età. Queste sono le più frequenti (60%). Sono caratterizzate da deficit motori e cognitivi che peggiorano molto rapidamente e inesorabilmente. La prognosi è molto grave e la presa in carico  deve iniziare molto rapidamente per migliorare la qualità della vita del bambino.

Forma giovanile tardiva
Nelle forme giovanili tardive, che esordiscono  in media tra i 6 e i 16 anni di età, le difficoltà cognitive possono precedere i disturbi motori. La progressione della malattia tende a essere più lenta.

Forme adulte
Le forme adulte della malattia, conclamate dopo la pubertà, sono accompagnate da difficoltà cognitive e comportamenti anomali che rappresentano l'aspetto più manifesto, accompagnato, in rari casi, da una neuropatia periferica isolata. In altri casi, ai sintomi si associano deficit motori e cognitivi come in una forma giovanile tardiva, ma con una progressione più lenta.

Diagnosi della malattia

La diagnosi di leucodistrofia metacromatica viene effettuata  sulla base  di un quadro clinico e di una situazione evocativa che emerge dalla risonanza magnetica cerebrale. Questa malattia viene diagnosticata tramite la rilevazione di un deficit enzimatico dell’enzima ARSA nelle cellule ematiche e da un'escrezione anomala di solfatidi nelle urine. Questi 2 test sono essenziali per la diagnosi. Quando la malattia è dovuta a una mutazione del gene PSAP, l'attività dell'enzima ARSA misurata nelle cellule ematiche o nei fibroblasti è normale, mentre si osserva un'escrezione anomala di solfatidi nelle urine. La diagnosi deve essere confermata mediante il sequenziamento del gene ARSA o PSAP e l'identificazione delle mutazioni patogene nel gene.

Consulenza genetica

Quando una mutazione in entrambe le copie del gene ARSA o PSAP viene identificata in un paziente (un paziente affetto ha sempre una mutazione in entrambe le copie del gene), è  necessario andare alla ricerca di una mutazione in una delle copie del gene in entrambi i genitori che sono "eterozigoti obbligati"* . In una gravidanza futura, il rischio che il nascituro sia affetto da questa patologia è del 25%. È possibile proporre una diagnosi prenatale affidabile della patologia. È altresì fondamentale sottoporre a screening fratelli e sorelle, soprattutto se più giovani. Infatti, se sono affetti dalla malattia ma sono ancora asintomatici o all'esordio della loro malattia senza che sia ancora stata fatta alcuna diagnosi, è possibile eventualmente proporre loro un trattamento sperimentale. Ognuno dei fratelli e delle sorelle di un paziente affetto ha un rischio del 25% di essere affetto, un rischio del 50% di essere eterozigoti come i propri genitori e un rischio del 25% di non avere alcuna mutazione patogena nel gene ARSA o PSAP. Anche altri membri della famiglia (fratelli e sorelle di entrambi i genitori) possono essere eterozigoti. I soggetti eterozigoti non sviluppano mai la malattia. È abbastanza frequente osservare soggetti con una ridotta attività dell'ARSA, ma senza escrezioni anomale di solfatidi. Questi soggetti, detti "pseudo-deficienti", non sviluppano alcuna sintomatologia.

Il meccanismo semplificato che porta alla malattia

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  *Eterozigoti obbligati: i genitori di bambini affetti da malattia autosomica recessiva sono chiamati "eterozigoti obbligati" perché sono obbligatoriamente portatori di una mutazione.
   * Eucariota: insieme di organismi (mono- o multi-cellulari) dotati di nucleo.

Nella leucodistrofia metacromatica, i solfatidi, non distrutti dall'ARSA, si accumulano in eccesso nei globuli bianchi (oligodendrociti, microglia) cerebrali, nei neuroni cerebrali e nelle cellule di Schwann che costituiscono la mielina dei nervi periferici. Questo accumulo è tossico per le cellule, conduce alla morte cellulare ed è responsabile della demielinizzazione e della distruzione dei neuroni.

A seconda della mutazione, di enzima ne sarà prodotto poco o niente e quindi poco sarà attivo (residuale) o praticamente senza attività ("O").

I trattamenti

•    Trapianto allogenico del midollo osseo
Un trapianto di cellule staminali ematopoietiche provenienti dal midollo osseo di un donatore compatibile può essere proposto a pazienti affetti da forme giovanili tardive o adulte della malattia. In alternativa, le cellule del sangue da cordone ombelicale possono essere utilizzate come fonte di cellule staminali per i trapianti. Ai fini dell'efficacia il trapianto richiede da 12 a 24 mesi, il che non consente il trattamento dei pazienti affetti da forma infantile tardiva e giovanile precoce, la cui evoluzione è molto rapida. Nei pazienti la cui malattia progredisce lentamente i risultati sono incoraggianti sul medio termine . L'efficacia a lungo termine è meno certa.

•    Terapia genica
È in corso uno studio clinico per valutare la sicurezza e l'efficacia della terapia genica nei bambini affetti da MLD in diversi stadi, presintomatico infantile tardivo o presintomatico giovanile precoce, o anche giovanile precoce all'esordio della loro malattia. Questo test prevede il prelievo di cellule staminali ematopoietiche dai pazienti, l'iniezione del normale gene enzimatico in queste cellule in laboratorio con un vettore di terapia genica lentivirale e la reinfusione delle cellule (dopo il condizionamento mieloablativo come in un trapianto allogenico di midollo osseo). Si tratta di una terapia genica ex vivo. Una prima valutazione è stata effettuata a Milano su nove bambini sottoposti a terapia genica per un minimo di 18 mesi (Sessa et al., 2016). Sono tutti vivi e si osserva un graduale ripristino dell'attività dell'enzima ARSA nelle cellule ematopoietiche in circolazione e nel liquido cerebrospinale. Sebbene precoce questo studio è molto incoraggiante sulla sicurezza e sull'efficacia della terapia genica per i bambini trattati in uno stadio asintomatico (prima della comparsa di qualsiasi segno neurologico anomalo). E' ancora in corso la valutazione dell'efficacia di questo approccio sulle forme sintomatiche giovanili precoci. Tuttavia, stanno emergendo altre questioni: l'uso di un vettore lentivirale consente l'inserimento del gene curativo nel genoma e quindi comporta il rischio di compromettere il corretto funzionamento del genoma. I rischi a lungo termine di questa forma di terapia genica ex vivo, compresa la mutagenesi del cancro che può provocare la comparsa di leucemia, non sono noti.
Presso l'ospedale di Bicêtre è contemporaneamente in corso uno studio clinico che consiste nell'iniettare il gene normale dell'enzima (inserito in un vettore virale) direttamente nel cervello dei pazienti (NCT01801709). In questo caso si tratta di una terapia genica in vivo. Con questo metodo non è necessario un prelievo e il gene curativo entra nelle cellule cerebrali del paziente. Se si dimostrasse efficace, questa tecnica consentirebbe di aggirare i rischi associati alla terapia genica ex vivo. Infatti, il vettore virale utilizzato consente di inserire il gene terapeutico nelle cellule cerebrali ma non nel genoma delle cellule. Anche questo approccio comporta comunque dei rischi specifici: il rischio di ematoma nei siti di iniezione intracerebrale del vettore.

•    La sostituzione enzimatica
Un approccio alternativo consiste nell'iniettare la proteina enzimatica direttamente nel liquido cerebrospinale da dove potrebbe integrare le cellule cerebrali e unire nuovamente i lisosomi di queste cellule per attivarli. In questo approccio terapeutico, non viene iniettato il gene ma l'enzima e questo consente un'azione rapida ma transitoria. Infatti, la proteina viene eliminata rapidamente e con il tempo si perde, da qui la necessità di ripetute iniezioni. È in corso uno studio clinico per valutare la sicurezza e l'efficacia di questa procedura (NCT01510028). Le iniezioni vengono somministrate ogni due settimane utilizzando un catetere impiantato a livello lombare nello spazio subdurale intorno al midollo spinale, dove si trova il liquido cerebrospinale, nel corso di 38 settimane. I primi risultati sono previsti non prima del 2018.

Gestione quotidiana della malattia

Attualmente, il trattamento della MLD è un trattamento sintomatico di supporto. È sempre possibile offrire una soluzione che offra l’adeguato conforto al paziente e tutti coloro che sono coinvolti nel trattamento, dai sanitari ai familiari, devono lavorare insieme per individuare gli ostacoli e proporre delle soluzioni.

La leucodistrofia metacromatica rimane una malattia estremamente grave, tranne nei rari casi in cui un trapianto di midollo precoce può essere eseguito in uno stadio precoce nelle forme giovanili tardive o adulte. La terapia genica può offrire un'alternativa a lungo termine per i pazienti affetti da leucodistrofia metacromatica che non possono ricevere un trapianto di midollo osseo. In questa battaglia contro il tempo, si potrebbe prendere in considerazione una combinazione di trattamenti efficaci a breve termine (sostituzione enzimatica) e a lungo termine (terapia genica) per curare anche i bambini più piccoli che sviluppano la malattia. Tuttavia, l'unica possibilità che hanno questi trattamenti di essere efficaci è solo nelle prime fasi della malattia, o meglio ancora, quando i pazienti sono ancora asintomatici.